Ciclo economico
In un contesto macroeconomia indica l’alternanza di fasi caratterizzate da una diversa intensità dell’attività economica di uno o più Paesi economicamente collegati.
Il ciclo economico, inizialmente veniva identificato con il ciclo dei prezzi ma questi subivano forti oscillazioni e sempre con una tendenza alla crescita, successivamente si passo ai livelli produttivi e occupazionali ma dopo il secondo conflitto mondiale sono stati definiti gli IAS (International Accounting Standards) e gli IFRS (International Financial Reporting Standards) su cui si basano la maggior parte delle contabilità generali nazionali ed è da qui che fu deciso che l’indicatore principale fosse il PIL (Prodotto Interno Lordo).
Dopo la definizione dell’indicatore sono state individuate 4 fasi, in relazione al PIL (Prodotto Interno Lordo):
- espansione: crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) grazie a consistenti investimenti attraverso una dinamica auto-propulsiva, le imprese, per fronteggiare l’espansione della domanda, incrementando la produzione e programmano ulteriori investimenti, assumendo nuovi dipendenti. La riduzione della disoccupazione rafforza la domanda. Dati i vincoli di breve termine all’espansione dell’offerta, i prezzi aumentano. A questo punto, al fine di contenere l’inflazione, l’autorità monetaria è costretta a deprimere la domanda aumentando i tassi di interesse. Le banche restringono la concessione di prestiti, in precedenza concessi con una certa elasticità. Ciò si traduce in un calo di in vestimenti e in un peggioramento delle aspettative. Beninteso: l’espansione può terminare quando le spinte propulsive che l’hanno generata vengono meno, senza che intervengano politiche restrittive a deprimere l’economia. Generalmente le quotazioni di bors a iniziano a calare in prossimità del punto di svolta superiore, anticipando l’inversione della congiuntura. La semionda arriva al suo culmine in corrispondenza del punto B;
- recessione: decrescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) in almeno due trimestri consecutivi e questa situazione si ha quando le a spettative negative e la sfiducia contagiano rapidamente gli agenti economici. La domanda si riduce, le scorte si accumulano e la produzione ristagna. Le famiglie rinviano l’acquisto di beni durevoli. La minore propensione al consumo determina un aumento d ei risparmi. La congiuntura avversa determina la crescita della disoccupazione. Se la recessione contagia altri paesi anche le esportazioni ne risentono. La contrazione della domanda e l’aumento dei tassi di interessi, il crollo delle quotazioni di borsa e le aspettative pessimistiche, riducono drasticamente gli investimenti;
- depressione (crisi): vengono valutati, come indicatori, la produzione che ristagna (condizione in cui produzione e reddito nazionale restano immobili, senza aumentare né diminuire) e il livello della disoccupazione (si mantiene a livelli elevati) e questa situazione si ha quando durante la fase di espansione si producono i nevitabilmente degli squilibri e si accumulano le inefficienze che condurranno alla crisi. L’aumento dei tassi di interesse e il peggioramento delle condizioni economiche generali deprimono le aspettative degli operatori economici, determinando il fallimen to delle aziende meno efficienti e di quelle che, nella fase di espansione, si erano eccessivamente indebitate. La crisi di liquidità che queste devono fronteggiare, conseguente mente alla stretta creditizia, ne può determina re l’uscita dal mercato. Crisi p articolarmente prolungate o acute sono denominate depressioni. La depressione, « in senso economico, si può definire come uno stato stagnazione o inattività protratto, durante il quale l’attività produttiva e commerciale cade al di sotto dei livelli consue ti » (Hull 1911, p. XIV). Analogamente, per depressione industriale si intende « uno stato di stagnazione e di inattività protratto nella manifattura e nelle industrie meccaniche di un paese » (Hull 1911, p. XIV);
- ripresa: ripresa della crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) ed è proprio come l’espansione, anche la recessione ha una durata temporalmente limitata. Prima o poi, la contrazione dell’offerta si rivela eccessi va rispetto al livello della domanda effettiva, e gli imprenditori aumentano lentamente la produzione. Anche i bassi tassi di interesse possono spingere gli imprenditori a programmare nuovi investimenti. Le aspettative ottimistiche, seppur lentamente, ripr endono vigore. Anche le politiche di stimolo all’economia, eventualmente poste in essere dal governo, possono aiutare l’economia ad uscire dalla stagnazione..
Una volta definite le fasi sono stati individuati tre modelli per indicare l’orizzonte temporale del ciclo economivo:
- ciclo breve di Kitchin (Kitchin): basato sulle variazioni delle scorte e avente durata breve non superiore a 40 mesi (o dai 2 ai 5 anni);
- ciclo medio dello statista francese Clément Juglar (1819 - 1905): si basa sulle variazioni del credito e delle riserve bancarie (di norma 4-10 anni) che sono causate dalla speculazione e dall’abnorme crescita delle aziende (durata media di 7/11 anni) e deriva dal risultato delle forze interne al sistema economico e consta di tre fasi fondamentali:
- prosperità: il credito aumenta mentre le riserve bancarie diminuiscono;
- crisi: la concessione di credito diminuisce drasticamente mentre aumentano le riserve bancarie (speculazione e dall’abnorme crescita delle aziende) e si generano per cause occasionali o per predisposizione delle dinamiche del credito e degli investimenti;
- liquidazione.
- ciclo lungo dell’economista sovietico Nikolaj Dmitrievic Kondratieff (1892 - 1938): l’economista analizzò un periodo economico di 150 anni (tra l’avvio della Rivoluzione I ndustriale e il 1920) individuando le fluttuazioni (durata di 50/70 anni) e dividendole in tre onde lunghe (onde di Kondratieff oppure onde K):
- prima onda (rivoluzione industriale): espansione tra la fine del 1780 fino al 1810 1817 e depressione dal 1810 1817 fino al 1844 1851 (rivoluzione industriale, dal 1787 al 1842, con un boom nel 1787, una recessione nell’epoca delle guerre napoleoniche, una depressione durata dal 1814 al 1827, poi una lenta ripresa);
- seconda onda lunga (ciclo borghese): espansione dal 1844/1851 fino al 1870/1875 e depressione dal 1870/1875 fino a 1890/1896 (dal 1843 al 1897, con un boom nel 1842 favorito dalla diffusione delle ferrovie, una recessione fino al 1857, una grande depressione ed una successiva fase di ripresa);
- terza onda (ciclo neo-mercantilista): espansione dal 1890/1896 fino al 1914/1920 e depressione con un inizio probabile tra il 1914/1921 (*dal 1898 al 1950 (circa), iniziato con la diffusione dell’energia elettrica e dell’automobile, con una fase di recessione a partire dal 1911 ed un’altra grande depressione dal 1929 al 1939).
I tre cicli, che rappresentaziono l’andamento ciclico della dinamica capitalistica, sono stati ignorate e rigettati dal pensiero economico ortodosso (si occupa razionalità, individualismo ed equilibrio) perché all’epoca veniva accettata la legge di Say (economista francese Jean-Baptiste Say), la base della teoria economica classica, che affermava “in regime di libero scambio non sono possibili crisi prolungate, poiché l’offerta crea la domanda”, a creare un pensiero divergente fu di Karl Marx che considerava le crisi economiche endemiche al capitalismo (il valore di un bene deriva dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo) ma, alla fine, anch’essa, venne pressoché ignorato nell’alveo della teoria economica dominante (quella in essere).
La legge di Say sarà empiricamente (e drammaticamente) destituita di ogni fondamento solo dopo il Crollo di Wall Street (iniziò il 29 ottobre 1929 a New York, presso lo Stock Exchange con una lenta ripresa che durò fin al 1954) e finì con l’orientare gli economisti a ricercare all’esterno del mercato le cause delle fluttuazioni dell’attività economica (ad esempio dalle variazioni nei trend demografici a quelle riconducibili all’ambiente fisico).
Gli economisti classici erano d’accordo con la legge di Say (legge degli sbocchi) ma solo dopo Juglar fu individuato un ciclo della durata media di 9 anni caratterizzato dall’espansione del credito e dalla riduzione delle riserve bancarie nelle fasi di ripresa e di prosperità, dall’andamento opposto nelle fasi di recessione e depressione individuando degli strumenti monetari in grado di contenere le oscillazioni dei prezzi (o almeno di mitigare i loro effetti). Successivamente, l’obiettivo è diventato quello di prolungare il più possibile le fasi di espansione e ridurre quelle di contrazione, sostenendo la produzione e l’occupazione.
Ci furono anche teorie molto eccentriche come quella dell’economista classico Jevons (William Stanley Jevons), uno dei padri (insieme a Carl Menger ed a Léon Walras) della teoria economica del marginalismo (il valore di un bene è determinato dall’utilità attribuitagli dai consumatori e non dal lavoro richiesto per produrlo), che credette di individuare le origini delle fluttuazioni economiche di Juglar nel ciclo delle macchie solari perché riteneva che l’effetto delle macchie solari incidessero sul clima influenzando i raccolti e, di conseguenza, il prezzo del grano con effetti negativi sui pagamenti differiti; per questo ripropose (proposto inizalmente da Loewe e Scrope all’inizio del XIX secolo) il Tabular Standard (indice dei prezzi che consentisse di rettificare il valore nominale dei pagamenti alla scadenza).
Ci furono teorie analoghe come quella proposta da Henry Ludwell Moore (1914) che ipotizzava l’influenza delle condizioni meteorologiche sul prezzo del cotone oppure quella di Johan Henryk Åkerman (1930) che tentò di studiare l’interazione di cicli climatici di diversa lunghezza.
La teoria monetarie, formulata da Alfred Marshall, rilevava, come fece Jevons, gli effetti negativi delle oscillazioni dei prezzi sui pagamenti differiti (comprese le cedole dei titoli pubblici) e sul tasso d’interesse riproponendo il Tabular Standard (indice dei prezzi che consentisse di rettificare il valore nominale dei pagamenti alla scadenza).
Basandosi sulle mosse di Marshall, Irving Fisher distinse tra tasso d’interesse nominale e tasso d’interesse reale, legati dalla relazione [1 + rᵣ] = [(1 + rₙ) / (1 + π)] dove
- rᵣ (tasso d’interesse reale): è il tasso di interesse al netto del tasso di inflazione vigente in una data economia;
- rₙ (tasso d’interesse nominale): è il tasso applicato in un atto o in un contratto di prestito, di finanziamento o di mutuo;
- π (tasso di inflazione): è l’aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un determinato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d’acquisto della moneta.
Quindi per Fisher, il tasso d’interesse nominale (effettivamente concordato e pagato) non si adegua mai pienamente al tasso d’interesse reale (tasso di interesse al netto del tasso di inflazione vigente in una data economia) questo perché all’aumento dei prezzi il tasso d’interesse reale risulta minore del tasso d’interesse nominale; per avere un tasso d’interesse reale costante le banche aumentano gradualmente i tassi praticati e le imprese traggono convenienza nell’indebitamento ma al rinnovare del prestito le banche hanno aumentato ancora i tassi con la conseguenza difficoltà che in alcuni casi porta al fallimento che innesca una crisi di fiducia ed i clienti delle banche iniziano a ritirare i loro depositi.
In tutta risposta le banche reagiscono provando ad innalzare ulteriormente il tasso d’interesse, con il rischio che le stesse falliscano, innescando un processo inverso di contrazione del credito, di minore attività produttiva e di calo dei prezzi ma, anche in questo caso, le banche non riducono il tasso d’interesse in misura sufficiente, rendendo più oneroso l’indebitamento e creando ulteriori difficoltà per le imprese.
Per questo ragionamento Fisher riteneva essenziale una migliore conoscenza delle variazioni dei prezzi; Fisher contribuì notevolmente alla teoria dei numeri indice (numero che esprime il variare dell’intensità di un dato fenomeno in circostanze diverse) proponendo il dollaro compensato, un sistema monetario (insieme di regole e istituzioni con cui un Governo fornisce la moneta ai soggetti economici di un Paese) per contrastare le variazioni dei prezzi basandosi su un paniere di merci e servizi (sad esempio il contenuto in oro del dollaro sarebbe cambiato in proporzione inversa al livello dei prezzi calcolato sui beni del paniere).
Invece Wicksell, nel suo processo cumulativo di Wicksell, sosteneva la necessità di distinguere il tasso d’interesse naturale (saggio di profitto) con il tasso di interesse monetario, affermando che se il tasso monetario, praticato dalle banche, risultasse inferiore al tasso naturale; anche in questo caso le imprese hanno convenienza ad indebitarsi e si ha un aumento del livello dei prezzi.
Nella teoria della sproporzione (esposta da Karl Marx negli appunti preparatori - i Grundrisse), invece, viene spiegato che le crisi sono un’insieme di altre crisi (crisi di sovra-produzione, sottoconsumo, sovrainvestimento, sovracapacità, sproporzione, domanda, saggio del profitto) anche se non è una vera teoria del ciclo perche le crisi sono il sintomo del progressivo esaurirsi, non automatico, del capitalismo (sistema economico in cui alcune imprese e/o alcuni privati cittadini possiedono mezzi di produzione).
Gli schemi di riproduzione di Mark (esposti nel secondo libro del Capitale), che distinguono la produzione dei mezzi di produzione con la produzione dei mezzi di consumo, e ripresi da Tugan-Baranovsky e di Spiethoff (le crisi non sono il sintomo di un progressivo avvicinarsi del capitalismo alla sua estinzione, ma solo il manifestarsi ed il ricomporsi ciclico di squilibri tra diversi settori produttivi) hanno molo influezato la teoria austriaca Friedrich Hayek in quanto un eccesso di credito bancario (somma di denaro di cui un soggetto debitore può disporre e che può utilizzare come meglio crede) induce un aumento degli investimenti in capitale fisso (parte dei beni durevoli che costituiscono una fonte redditizia nello svolgimento di un’attività produttiva) e una fase espansiva di tutta l’economia fino a quando il credito si arresta portando, di conseguenza, le imprese, che producono beni capitale, in difficoltà, con la conseguenza del fallimento (il settore dei mezzi di produzione risulta essersi sviluppato troppo), dando inizio ad una fase recessiva (contrazione dei mercati) che coinvolge tutta l’economia (in quasta fase i redditi fissi aumentano il loro potenziale di acquisto perché si verifica un crollo dei prezzi, quasta condizione crea una fase di risparmio che aumenterebbe i depositi bancari utili a rifinanziare una nuova fase espansiva - domanda e offerta del credito).
Da questa teoria viene, successivamente, sviluppata la teoria schumpeteriana (Teoria dello sviluppo economico) di Schumpeter che integra ed interpretata la teoria statica dell’equilibrio economico generale (economia decentralizzata, composta da numerosi agenti indipendenti che agiscono secondo il loro interesse, è compatibile con un equilibrio su tutti i mercati) di Walras con il principio di imputazione (il costo di produzione viene misurato in termini relativi, in base alle alternative, e non in termini assoluti) di Menger e con la posizione di Böhm-Bawerk (gli unici fattori produttivi originari sono la terra e il lavoro—con una teoria dinamica che renda conto, insieme, dei cicli e dello sviluppo) intoducendo, come figura chiave, l’imprensitore (non più il concetto di opportunità come invenzioni e/o apertura di nuovi mercati).
Ma tale teoria si rivelò sbagliata specialmente dopo il Crollo di Wall Street (iniziò il 29 ottobre 1929 a New York, presso lo Stock Exchange con una lenta ripresa che durò fin al 1954).
Schumpeter, nella sua opera Cicli economici (1939), provò a identificare, nella storia economica, le diverse fasi dei cicli di Kitchin, Juglar e Kondratiev ma il Crollo di Wall Street, e le successive crisi, vide la simultanea caduta di tutte le altre teoria economiche (ciclo di Kitchin, di Juglar e di Kondratiev) che portarono lo stesso Schumpeter ad attribuire tutta la responsabilità alla mancata ripresa alle misure politiche ostili al capitalismo (Capitalismo, socialismo e democrazia).
Apriamo una parentesi sulla teoria austriaca del ciclo economico di Friedrich Hayek che considera la transizione tra due Stati, entrambi di equilibrio e il secondo dei quali caratterizzato da una maggior produzione di mezzi di produzione, delineando due ipotesi sulle transazioni che:
- avvengono in seguito di un aumento del risparmio: la quantità di moneta rimane costante, si ha maggiore domanda e produzione di mezzi di produzione e minori domanda e produzione di beni di consumo (realizzando un nuovo equilibrio);
- avvengono a seguito di un aumento della quantità di moneta (crediti concessi ai produttori): la domanda di beni di consumo resta invariata mentre l’offerta diminuisce perché la domanda di mezzi di produzione è maggiore di quella di beni di consumo.
Da queste due assunzioni, Hayek deduceva la necessità di mantenere costante l’offerta di moneta limita l’erogazione del credito in caso di aumento della produzione e, soprattutto, di non ricorrere a politiche inflazionistiche in caso di depressione.
Mentre La teoria del sottoconsumo di Malthus, inerente agli effetti negativi del risparmio, venne ripresa dall’inglese John Atkinson Hobson (fine del XIX secolo) che durante le fasi espansive del ciclo, afferma, che crescono sia i redditi che i consumi, ma questi in misura minore danno un incremento del risparmio, che dà luogo a maggiori investimenti.
In questo scenario Malthus, nota che i consumi sono cresciuti meno della capacità produttiva parallelamente si ha un eccesso di offerta e questa combinazione porta ad una contrazione della produzione ed una diminuzione del reddito fino a quando non si verifica un nuovo equilibrio (equilibrio tra domanda e offerta) in cui la proporzione del consumo sul reddito sale (fase di ripresa).
Sulla base di questa teoria gli americani William Trufant Foster e Waddill Catchings ritenevano utile l’intervento di politiche economiche a sostegno del reddito perché notarono che durante la realizzazione di un progetto di investimento si ha un aumento del reddito (salari) dei lavoratori coinvolti ma quando il progetto d’investimento termina cessa (aumento della produzione ed una diminuzione del reddito) e questa inefficienza porta ad una diminuzione dei consumi e dei depositi bancari.
A differenza delle altre teoria la teoria keynesiana di Keynes non cerca una diretta connessione tra risparmi e investimenti perché le due volontà (risparmio e investimento) sono prese dai consumatori in funzione del loro reddito e dagli imprenditori sulla base delle aspettative di profitto e del tasso di interesse mentre i tre fattori generali che influenzano il livello della produzione e dell’occupazione sono:
- la propensione al consumo;
- la preferenza per la liquidità;
- l’efficienza marginale del capitale.
Le variazioni economiche vanno argomentate con quella del tasso di rendimento interno (efficienza marginale del capitale) che fornisce la redditività attesa da un progetto di investimento.
Quindi per Keynes la fase espansiva del ciclo è caratterizzata da aspettative ottimistiche sul reddito futuro dei beni capitali, abbastanza forti da compensare la loro crescente abbondanza e i loro crescenti costi di produzione e quando subentra qualche delusione e le aspettative peggiorano, si arriva ad un aumento della preferenza per la liquidità con la conseguenza di una depressione (il logorio e l’invecchiamento dei beni capitale ne provochi una tale scarsità da riaumentare l’efficienza marginale del capitale).
In ultimo la teoria neokeynesiana considera l’aumento dei consumi, generato dalla crescita della domanda aggregata, provoca un aumento più che proporzionale della domanda di mezzi di produzione necessari per soddisfare la crescita della domanda (effetto acceleratore degli investimenti) quindi la fase di prosperità viene raggiunta più rapidamente rispetto al modello del moltiplicatore perché maggiore è l’investimento e quindi la domanda aggregata cresce più rapidamente all’opposto se la domanda di beni di consumo diminuisce, la crisi, secondo il modello neokeynesiano, si aggrava molto più velocemente rispetto al modello di Keynes.
Per questo Hicks evidenziò che l’attività produttiva non può variare oltre certi limiti e quindi un reddito minimo viene mantenuto (il limite inferiore del ciclo è rappresentato dal livello minimo di investimento che viene sempre realizzato, ad esempio spesa pubblica per la manutenzione delle infrastrutture mentre il limite superiore è costituito dal massimo sfruttamento dei fattori produttivi disponibili).